9.5.06

Di ritorno dal Marocco


Eccoci qua. Ed è passato un sacco di tempo. Il viaggio in Marocco è stato impegnativo e coinvolgente. Tante sensazioni, immagini, colori, suoni. Di cuscus e tajine non se ne poteva più, ma abbiamo scoperto l'olio di argan. Ha un deciso sapore di nocciola e si dice sia l'olio più caro del mondo. Si ricava dall'argania spinosa, un albero che almeno nella forma ha qualcosa in comune con l'olivo. Si usa in cucina e in cosmetica. Poi ve lo racconto meglio, insieme a tutto il viaggio. Intanto una foto, tanto per creare l'atmosfera.

12.4.06

E' stata dura...


Lunedì sera, alle 2 e 15 circa del mattino mi sentivo così... E la sensazione è continuata, sottile ma persistente, anche oltre le tre, quando alla fine sono andata a letto stremata e con il mal di stomaco.

Martedì mattina, dopo la colazione, la svolta. E che diamine, basta autoflagellarsi. Dovevamo prendere più voti? Sarebbe stato meglio. Ma alla fine, anche se per il rotto della cuffia, ce l'abbiamo fatta, Berlusconi non è più premier, si prova a governare, per una volta abbiamo vinto.

28.3.06

Due volte Gusto


E' uscita anche la seconda pagina di Gusto del Tirreno. In cui Corrado Benzio si fa un giro per trattorie, ristoranti e negozi di golosità a Carrara e dintorni e laddove si scopre che all'ombra delle cave di marmo la bontà è di casa. Marzia Tempestini si fa raccontare da Andrea Bertucci, dell'Osteria del Vecchio Mulino di Castelnuovo Garfagnana, i segreti di un buon farro. Federico Ricci presenta il larsciac, il lardo stagionato con lo sciacchetrà, e Massimo Pilo presenta Annick, bianco di Villa La Selva a San Miniato. Io continuo a fare titoli... Arrivederci al prossimo martedì.

Ma è farro o risotto?


Scrive la mia amica Marzia Tempestini sul Tirreno del 28 marzo:
Il consiglio viene da un esperto, uno di quelli che fin da bambino hanno seguito il lavoro nei campi imparando con gli occhi e il gusto prima che dalle nozioni poi lette sui libri. È Andrea Bertucci, l’oste più oste della Toscana, che nella sua bottega oggi osteria con mescita (l'Osteria del Vecchio Mulino) a Castelnuovo Garfagnana, con soli 20 coperti dove si può deliziare il palato con estasi gustative indimenticabili, raccoglie le delicatezze della Garfagnana e non solo.
E a proposito di Garfagnana e di prodotti tipici, anche l’utilizzo del farro, che qui si vanta della Igp (indicazione geografica protetta), ha il suo segreto. Questo prodotto antico, antico più del grano, da cui fu spodestato come alimento essenziale per la dieta dell’uomo, è eccellente in mille ricette e combinazioni.

«Servito caldo o freddo - consiglia Andrea Bertucci - dobbiamo utilizzarlo non solo nella passata di fagioli come lo vuole da sempre la tradizione toscana, ma osare e utilizzarlo come se fosse un chicco di riso. Ovvero occorre fare un soffritto come solitamente si fa per il riso, poi gettare il farro nella pentola e portarlo a cottura utilizzando il brodo a piacere, può essere di verdura di pesce, di carne. E gli ultimi 5 minuti si aggiunge il prodotto principale: può essere arricchito con i funghi, le verdure, le erbe di campo, il pesce ma anche la trota di fiume, oppure si può mettere alla fine della cottura del formaggio abbondante così da renderlo cremoso». «Inoltre - continua - se ne preparate una porzione in più, questa può essere tranquillamente riscaldata con l’aggiunta di un po’ di brodo perché il farro non scuoce». Pertanto per una casalinga sempre di corsa, ma che non vuole rinunciare a preparare manicaretti per la propria famiglia diventa un “atout”: pratico, salutare e gustoso.

27.3.06

Dilemma


Quando lavoro non posso aggiornare il blog. Lavoro molto, ma se non lo facessi non potrei permettermi il lusso di aggiornare il blog. Se però nel tempo libero dal lavoro aggiorno il blog, allora non faccio la spesa e non posso cucinare. Se poi faccio la spesa e cucino finisce che non vado al ristorante. Però quando vado al ristorante non cucino, non aggiorno il blog e devo per forza andare al lavoro, sennò il conto chi lo paga? Ma se non cucino e non vado al ristorante come faccio ad aggiornare il blog?

Garfagnana


E' troppo bella questa Toscana segreta, selvatica, appartata. Qui siamo a Col di Favilla, un tempo un villaggio, ora un gruppo di case semiabbandonate che si raggiunge dopo un'ora di sentiero da Isola Santa.



Isola Santa, il lago, la diga.


La casa di Fosco Maraini, all'Alpe di Sant'Antonio, sul tetto del mondo. Quando non era sull'Himalaya si rifugiava qui.


Ca' del Tito, la nostra. Sotto il gruppo delle Panie e l'Omo Morto.

26.3.06

Un amore di sedano rapa


Leggo celeriac e non capisco. Controllo sul dizionario ed è lui, il sedano rapa, Zelig della cucina, straordinario trasformista che io finora avevo usato solo nel cous cous. In quel ristorante irlandese era un rosti, servito con foglioline tenere di spinaci saltate in padella e una crema di blue cheese. Di ritorno in Italia mi è venuta la mania. Ho cercato le ricette. Ho rifatto il rosti (si può fare anche in mix con le patate), l’ho tagliato a julienne e fatto in remoulade. Ora provo il purè e le frittelle, ma anche la crema nella zuppetta con le cozze e lo zafferano. In fretta, perché fra un po’ non si trova più.

22.3.06

Fantasia al potere


La fantasia sbarca a Bologna dal 27 al 30 marzo con la Fiera internazionale del Libro per ragazzi. La più importante esposizione libraria per l'infanzia d'Europa riunisce editori, autori e illustratori da tutto il mondo, in una vetrina unica di ciò che offre la letteratura dei piccoli. Per avere un assaggio, ecco una delle illustrazioni degli autori selezionati in tutto il mondo.

21.3.06

Il pecorino delle Balze Volterrane




Dovrà essere prodotto solo con latte ovino, crudo e intero, con caglio vegetale ricavato da infiorescenze di cardo o carciofo selvatico, con sale fino. E solo con il latte di ovini allevati tra Volterra, Pomarance, Montecatini e Castelnuovo Val di Cecina, Monteverdi.
È rigido il disciplinare sul pecorino delle Balze Volterrane, stilato dall’associazione che vuole lanciarlo nell’olimpo della Dop, la denominazione di origine protetta. Fondatori dell’associazione “Tra produttori di latte e pecorino delle Balze Volterrane” sono sei imprenditori - due caseifici e quattro allevatori - che hanno unito le forze per promuovere un formaggio che a Volterra si produceva già nel 1200.
Le aziende associate sono la fattoria Lischeto (caseificio, allevamento, ma anche agriturismo e centro benessere) di Giovanni Cannas (nella foto) a San Giusto di Volterra, il caseificio Giulia Pinzani di Casole d’Elsa, l’azienda agrozoobiologica Santa Maria dei fratelli Farru a Pomarance, l’azienda agricola Santa Lucia dei fratelli Zizzi a Volterra, gli allevatori Massimo Crapolu di Pomarance e Bartolomeo Carta di Mazzolla (Volterra).
Il disciplinare dell’associazione insiste sulla versatilità del pecorino delle Balze, che può essere consumato come antipasto, con salumi e ortaggi sott’olio, grattugiato su primi piatti conditi con sugo di carne e, a seconda della stagionatura, come formaggio da tavola oppure da grattugia per minestre e paste ripene cotte al forno.
(dal Tirreno del 21 marzo, scrive Barbara Antoni).

Il segreto della frolla


Scrive la mia amica Marzia Tempestini sul Tirreno del 21 marzo:

È uno dei preparati più usati in pasticceria. Una “base” come si suol dire in gergo. Più spesso dolce, ma anche salata, è il “sofà” sul quale si adagiano mousse, bavaresi, marmellate. E’ la pasta frolla, farina, burro, zucchero (se dolce) uovo e poco più. Ogni provetta cuoca o grande pasticcere ha il suo segreto, la dose di farina e di burro, il grasso fondamentale per renderla friabile, ma anche se riuscirete a farvi dare le dosi dal vostro pasticcere di fiducia, sarà difficile riuscire nell’intento. Sì, perché questa pasta è davvero sensibile a molti fattori: al tempo, ovvero all’umidità e alla temperatura, ma anche al calore delle mani.
Paolo Sacchetti del Nuovo Mondo di Prato ci svela il suo segreto per renderla croccante e friabile: «Prima va lavorato il burro con lo zucchero a velo e poi, piano piano, vanno messi i tuorli uno alla volta e quando sono ben amalgamati si aggiunge la farina. Il “trucco” è averla fresca di frigorifero in maniera da lavorare poco l’impasto. La frolla è pronta appena l’impasto sta insieme, ovvero quando la farina è stata ben amalgamata. Se usate le mani e non un attrezzo elettrico usate i polpastrelli invece del palmo perché cedono meno calore. Non lavoratela troppo, deve essere frolla ovvero stare poco insieme. L’altra cosa fondamentale è lasciare l’impasto coperto con una pellicola a riposare in frigo o in un luogo fresco per una notte, o almeno per più di 8 ore, perché gli ingredienti devono “macerare” ovvero gli enzimi della farina devono mescolarsi alle proteine del tuorlo d’uovo, in modo da sviluppare più friabilità. Tolta dal frigo si può utilizzare dopo circa 5 minuti, lavoratela con il matterello avendo l’accortezza di usare poca farina, altrimenti la frolla si ossida e perde il bel colore miele».

Il Tirreno ha Gusto


E' uscita! Migliorerà, sicuro, ma intanto è uscita sul Tirreno la nostra prima pagina di Gusto. Corrado Benzio scoprirà per noi ristoranti e trattorie, Antonio Valentini andrà a caccia di buone etichette, Marzia Tempestini ci farà conoscere i trucchi del mestiere di chef e pasticceri, Federico Ricci si occuperà di libri. Io per ora faccio i titoli e scelgo le foto...

15.3.06

Cinque e cinque


Lo so, è una bestemmia dietetica. Schiacciata (ovvero focaccia salata), aperta a panino e farcita con due fette di torta di ceci (a Livorno semplicemente torta, a Viareggio cecina con l'accento sulla i, a Genova farinata e chi conosce altri nomi me li dica). Mi ci sono voluti anni per superare il blocco psicologico che mi scattava di fronte a questa apoteosi del carboidrato. Ma come, un panino ripieno di ceci? Perché il cinque e cinque (forse cinque centesimi di pane e cinque di torta?) si fa anche con il pan francese al posto della schiacciata di cui in fondo è parente. Dubito che abbia a che fare qualcosa con la Francia. In forma di filino o panino, è bianco e ha una profonda incisione verticale che ha dei lembi un po' umidini e brilla di sale. E un chilometro fuori da Livorno non sanno nemmeno cos'è. Sorvolo sulle guerre di campanile, anche se è Viareggio che interpreta al meglio la filosofia della cecina: non troppo bassa, quasi cremosa all'interno, ricoperta da una crosticina croccante e niente "cornicione". Chi prova a farla a casa fa un buco nell'acqua. Niente da fare, la migliore si cuoce nei testi di rame e nel forno a legna. Si mangia bollente, spruzzata di pepe, nuda così com'è o nel cinque e cinque. Un panino ripieno di ceci? Siiiiiiiii.

12.3.06

Cous Cous


Cous cous, cuscussù, cuscus. A Livorno è arrivato con gli ebrei sefarditi, costretti a lasciare la Spagna dal 1492, e con quelli levantini che qui, grazie alla Costituzione Livornina voluta da Cosimo e Ferdinando de' Medici, trovarono la loro piccola Gerusalemme: niente ghetti e uguali diritti, indipendentemente dal paese di origine e dalla fede religiosa. Gli ebrei ricambiarono diventando in poco tempo una delle comunità più floride e vitali. E arricchendo la cucina livornese con i piatti della loro tradizione. Il cuscussù, le roschette dolci o salate, le triglie alla mosaica (triglie alla livornese). Dal pane azzimo poi, con l'aggiunta di lievito, olio e sale, nasce la schiacciata (0 stiacciata), miracolo di panificazione e bontà (che con il caffellatte è cibo da dei).
Ma torniamo al cous cous. Quello di origine ebraica usa carne di vitella e verdure varie, compresi fagiolini, zucchine, melanzane ecc. Usa poche spezie (a parte il peperoncino) e non prevede quasi mai l'uso dei ceci. Ma senza ceci che cous cous è? Io preferisco una versione meticcia, un po' ebraica e un po' nordafricana.
Semola a grana media (precotta, per la versione home made alla prossima puntata).
Le verdure: carote, sedano rapa (al posto della patata che si sbriciola), peperoni gialli, cipolla, poco pomodoro, sedano e tanti ceci.
La carne è di agnello (ma anche di pollo) o non c'è affatto.
Le spezie: curcuma, coriandolo, peperoncino rosso piccante in polvere o la miscela già pronta per il cuscus.
Polpettine di carne macinata di vitella, insaporite con le spezie, infarinate e cotte a parte con olio e un po' di brodo delle verdure.
Anelli di cipolla fatti appassire a fiamma bassissima, con l'aggiunta di uvetta alla fine e un po' di brodo di cottura delle verdure.
Spicchi di uovo sodo per guarnire.
Servire la semola, lavorata con olio e sale e poi fatta gonfiare, in un grande vassoio.
Al centro, un piccolo cratere con gli anelli di cipolla e l'uvetta.
Le polpettine e l'uovo sodo per guarnire.
A parte:
le verdure e la carne.
In tavola: una ciotola di harissa diluita sempre con il brodo delle verdure.
Ho dimenticato qualcosa?

11.3.06

Pasticceri



Dolcissimo e geniale questo Pasticceri, fantastico antidoto agli spettacoli con chef che s’improvvisano attori e attori che s’improvvisano chef. Leonardo Capuano e Roberto Abbiati hanno trasformato il palcoscenico in un laboratorio di pasticceria, vero, e si muovono con grazia tra planetarie e bilance, sac-à-poche e fruste, frullando ragionamenti a suon di musica e montando albumi a neve. Sono fratelli gemelli che più diversi non si può. Il primo parla sciolto, fa un po’ lo spaccone ma ha il cuore così tenero che non vorrebbe mai separarsi dai suoi pan di spagna. L’altro è goffo, balbetta, e arriva sempre “dopo”, ma se non ci fosse lui a pagare le bollette… Leonardo ha la lacrima facile, si commuove davanti ai bigné così nudi e fragili, li bacia uno ad uno dopo averli riempiti di crema. “Vestimeli bene, come la notte – dice al fratello – e in quel profiterole tienili più vicini, che si facciano compagnia”. I Pasticceri profumano di dolci e ascoltano la radio – musica, tanta musica da Sweet Home Alabama ad Alan Sorrenti – con l’orologio che è fermo alle quattro del mattino, mai un giorno di vacanza, bianchi come la farina, di abiti e di pelle. Nella notte (e sul palcoscenico) prendono forma torte alla frutta e diplomatici, gianduia e charlotte, meringa e torta russa, pensieri e poesie. Uno le scrive e l’altro le recita, ispirandosi al Cyrano, per scoprire alla fine che la donna per cui entrambi sospirano è la stessa. Tutto è pronto per quando si alzerà la saracinesca del laboratorio e Rossana finalmente arriverà. Il sipario cala sulla tavola imbandita ma non è finita qui. Dopo gli applausi Leonardo e Roberto affidano i dolci agli spettatori perché li portino nel foyer, dove saranno divisi tra i grandi e i piccini che si guadagnano pure l’ultimo mestolo di crema al cioccolato. Pasticceri va in scena ancora stasera a Cecina, al Teatro De Filippo e martedì 14 marzo a Carrara, al Teatro degli Animosi. La tournée continua. Non lasciatevelo sfuggire e portateci i bambini.

10.3.06

Stamani è successo...


Stamani è successo. Una telefonata al cellulare mi ha svegliato all'alba, più o meno alle 7 e 50. Toccava fare colazione. Il pane Panda era finito, quello scuro pure. Tutto lasciava presagire che sarebbe stato il grande giorno. Ho messo il caffè sul fuoco, a fiamma bassissima, sono uscita in ciabatte (zoccoli anatomici in realtà) e un quasi pigiama con sopra il pile, occhiali da sole, d'ordinanza prima di mezzogiorno. Ho attraversato la strada, cento metri ed ero già al panificio. Ho comprato due euro di schiacciata. L'ho tagliata a striscioline sottili, ho preparato la tavola con le tazzone, il caffè e il latte, lo zucchero. la spremuta d'arancia pregustando il momento. Eccola lì, morbidina nei punti giusti e croccante agli angoli, con i granellini di sale che brillavano. La tecnica è questa: abbrancare la striscia di schiacciata, inzupparla nel caffellatte ben zuccherato, premerla un po' cosicché si imbeve di caffellatte almeno fino a metà della lunghezza, strizzarla un po' premendola sul bordo del tazzone. Darci un morso mentre un po' di caffellatte sgocciola sul mento e continuare così, fino alla fine degli ultimi due euro di schiacciata. Godendo come matti.

9.3.06

Ha ragione Milly?


Chef in tv, quasi un'ossessione. Libri di ricette, idem. Non so com'è, ma quasi tutte le volte che ho seguito alla lettera dosi e istruzioni della ricetta di un libro o peggio ancora di una rivista, senza metterci niente di testa mia, la riuscita è stata pessima. Sarà un caso? Troppa approssimazione? O c'è premeditazione? Boh! E poi, ha ragione Milly quando scrive che cucinare è anche scambiarsele le ricette, tra amici. Recuperare quelle della nonna, farsi raccontare quelle della mamma, della zia, delle sorelle...

8.3.06

Al mercato


Al mercato ci sono dei banchi che sono, prima di ogni altra cosa, una gioia per gli occhi. Quando sono in una città straniera il mio fiuto mi porta inevitabilmente in due direzioni. Verso il mare, quando c'è, e anche quando non c'è cerco un luogo dove lo sguardo possa andare oltre. Verso il mercato, guidata dagli odori, dalle voci, dai suoni. Guardando quei pesci, quelle spezie, quelle verdure e quella frutta e la gente che si aggira tra i banchetti e osserva e chiede e contratta, capisco di quel paese più di quanto mi possano insegnare mille guide.

7.3.06

Lardo


Chi è quel genio che prese una fettina sottile di lardo, la appoggiò su una fettina di pane toscano, ci mise sopra una foglia di salvia (o di alloro), ci aggiunse un tocchetto di maiale (o di altra carne, o anche niente), infilzò il tutto in uno spiedino, lo passò in forno e creò un sublime crostone?

5.3.06

L'archetipo dello scone


Dolce o salato, è la quintessenza della semplicità fatta bontà.

2.3.06

Salmone con un tocco di Mediterraneo


A Dublino, in un ristorantino di Temple Bar che si chiama La Med, ho rivisto i miei canoni nordici rispetto al salmone affumicato in genere e a quello irlandese in particolare. Le fettine di salmone erano adagiate su un ciuffo di insalatina di campo, e fin qui niente di strano. Sopra, una quenelle di mascarpone e basilico. Intorno, capperi, grandi e morbidi. A guarnire, qualche goccia di vinaigrette parecchio densa. Pane (non scuro) appena tostato. Nel piatto sapori mediterranei accostati al salmone affumicato che si immagina sempre accompagnato da aneto o cipollina, da burro e pane scuro. Da provare.

1.3.06

Di ritorno da Dublino


Eccoci qua. Tre giorni, anzi due e mezzo, a Dublino con un volo della RyanAir pagato 1 centesimo a tratta. Buono il viaggio, orari perfetti. Dublino (erano passa dieci anni che non ci mettevo piede) ha fatto passi da gigante. Anche nei prezzi. By the way, il Trinity College è sempre lì. Molly Malone idem, così come gli scrittori, i portoni colorati, la Guinness, il fiume Liffey, i locali di Temple Bar. Quanto al cibo, gli scones (dolci e salati) sono sempre ottimi, il soda bread anche. Le patatone cotte nella stagnola chissà come sono sparite dai pub (dove è vietatissimo fumare così come in qualsiasi altro locale pubblico). Si ripiega sugli Irish stew (lo stufato, a volte cotto con la Guinness) e il seafood (dal classico fish and chips ai frutti di mare). Non siamo riusciti ad andare nel ristorante di Kevin Thornton, in St. Stephen Green, ma abbiamo provato il 101 Talbot, in Talbot Street. Niente di che. Un buon vegetariano, economico e sempre affollato, è Cornucopia, dalla parti di Grafton. Buoni formaggi da Sheridan, in South Anne street (traversa di Grafton) e cose buone (anche organiche) da Avoca, in Suffolk street. Sempre pittoresco il mercatino di Moore street, al di là della Liffey, a nord. Una puntata al villaggio di Howth, con relativo faro, ci ha fatto conoscere la Abbey Tavern. Insomma, dal punto di vista gastronomico, a parte il buon salmone, niente di sconvolgente da segnalare.

21.2.06

L'orto delle aromatiche


Non c'è bisogno di un orto o di un giardino. I vasetti delle erbe aromatiche possono vivere sul davanzale della finestra o sul terrazzino. E' un piacere vederle, annusarne i profumi. E un rametto o poche foglioline migliorano il sapore di una zuppa o di una salsa.
Le erbe aromatiche sono il “valore aggiunto” di un piatto. Non si cucinano ma sono fondamentali, usate singolarmente o in sperimentati accostamenti, per conferire un sapore unico a tutta una serie di preparazioni. Una banale patata bollita diventa altra cosa con pochi steli di erba cipollina, la pimpinella aggiunta ad un’insalata di campo la ravviva con il suo delicato sapore di nocciola, le foglie tenere di borragine diventano ripieno per i ravioli. Ci sono erbe aromatiche di uso comune, facili da reperire sul mercato. Hanno sapori decisi, come il basilico, il prezzemolo, il rosmarino, la salvia, l'alloro, la menta a foglia tonda, il timo, l'origano, la maggiorana. Altre sono più usate nella cucina regionale, come il finocchio selvatico e i suoi semi (Italia Centrale e Meridionale, soprattutto Sicilia), la santoreggia, il timo serpillo, la nepitella (più usate in Toscana), il dragoncello (provincia di Siena, anche se poi è usatissimo nella cucina francese e nella grande cucina classica in generale), il mirto in Sardegna. Altre erbe, semi o bacche odorose, che esistono da noi sia selvatiche che coltivate, sono, quanto all'uso di cucina, influenze esterne: così l'erba cipollina, il cumino dei prati o kümmel, l'aneto, il cerfoglio, il coriandolo, la melissa, l'erba cedrina, il ginepro, il pistacchio.

19.2.06

La brioche


Pensano i cinesi, alcuni cinesi hanno pensato e continuano a pensare che ogni cosa nuova che c'è sulla terra proietta il suo archetipo nel cielo. Qualcuno oQualcosa ha ora l'archetipo della spada. l'archetipo del tavolo, l'archetipo dell'ode pindarica, l'archetipo del sillogismo, l'archetipo della clessidra, l'archetipo dell'orologio, l'archetipo della carta geografica, l'archetipo del telescopio, l'archetipo della bilancia. Spinoza osservò che ogni cosa vuole perdurare nel suo essere: la tigre vuole essere una tigre, e la pietra, una pietra. Io, personalmente, ho osservato che non c'è cosa che non propenda ad essere il suo archetipo, e a volte lo è. Basta essere innamorati per pensare che l'altro, o l'altra, è già il suo archetipo. Maria Kodama acquistò nella panetteria Aux Brioches de la Lune questa grande brioche e mi disse, quando me la portò in albergo, che era l'Archetipo. Immediatamente compresi che aveva ragione. Guardi il lettore l'immagine e giudichi!
Jorge Luis Borges
Atlante

18.2.06

Irish soda bread


E' il buon pane che si fa in Irlanda senza bisogno di lievitazione.
Per circa 800 grammi di farina (integrale 600, bianca 150, avena se c’è) 1 cucchiaino di bicarbonato di soda (o lievito istantaneo per pizza o 1 cucchiaino di bicarbonato più due di cremor tartaro), 1 cucchiaino di sale, latte inacidito. Fare un impasto umido e versare su una teglia. Fare un taglio a croce e infornare per 30-45 minuti a 220 gradi.

17.2.06

Quando alla Valle c'era la neve



Il cespuglio del rosmarino è sopravvissuto alla neve, come tutti gli anni. Il cappero, abituato a ben altri climi, idem. Per ora se ne sta lì, in attesa di spuntare i nuovi rami. Saranno di color rossiccio, seguiranno i boccioli (il cappero) e poi i fiori, bellissimi, bianchi, effimeri e un po' alieni.

16.2.06

A Dublino


Ci vediamo a Dublino, la prossima settimana. Fiumi di birra e Irish soda bread, fish and chips e patate intere al forno con salsa al formaggio o al tonno, portoni dipinti e Trinity College, la Liffey e le tea rooms, Joyce e Molly Malone.
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10.2.06

L'orto della valle


Quando il timo è nel pieno della fioritura quasi abbaglia. E' un enorme cuscino di color viola charissimo, su cui si affollano centinaia di api. Posted by Picasa

6.2.06

Affari di famiglia


Luca al lavoro. In fondo anche l'amore per i fornelli è un imprinting. Posted by Picasa

5.2.06

Ritratti d'autore


Queste sono le cose bellissime che fa la mia nipotina Maria Teresa a New York

2.2.06

Riso allegro

Il riso è bianco, buono ma bianco. Un pizzico di curcuma nel riso pilaf lo fa diventare arancione, lo profuma leggermente e non ne altera il sapore.